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STORIA JATAKA NO 19. L'OCA D'ORO

“Sulla nostra città stanno passando nuvole d’oro!” gridò un giorno il popolo di Benares, perché il cielo era coperto d’oro. Ma non era né una nuvola né l’oro lasciato dalla scia di una stella; l’oro proveniva dalle ali di un’oca, un’oca meravigliosa, che volava lentamente e maestosamente nel cielo.

Il Re guardò verso l’alto dalla torre del suo palazzo. “Nobile uccello,” esclamò pieno di stupore, “delle creature che volano nel cielo, tu sei certamente il re.”

Quindi per onorare lo splendido ospite il Re convocò la sua corte, ordinò che suonassero una dolce melodia e che portassero ghirlande di fiori e profumate essenze.

Quando l’oca guardò in basso e vide il Re, i suoi cortigiani, le ghirlande di fiori, e udì la dolce musica, rivolgendosi allo stormo di oche che la seguivano chiese:
“Perché il Re mi onora in questo modo?”.
“Signore, sicuramente desidera diventare vostro amico,” risposero le oche.

Allora l’uccello d’oro scese a terra e salutò il Re; poi tornò dai suoi compagni nel cielo. 
Il giorno seguente il Re stava camminando nei giardini vicino al lago di Anokkatta quando il nobile uccello ritornò da lui, trasportando acqua su un’ala e polvere di sandalo sull’altra. La sua visita non durò più a lungo della precedente, infatti dopo avere spruzzato l’acqua sul Re, e averlo cosparso di polvere di sandalo, raggiunse immediatamente i suoi compagni e volò via verso il suo regno a Cittakutta.

Col passar del tempo il Re di Benares desiderava sempre più ardentemente vedere ancora l’uccello d’oro. Ogni giorno passeggiava vicino al lago di Anokkatta ed ogni giorno, guardando l’orizzonte lontano, sospirava: “Il mio amico tornerà ancora una volta?”.

Ma l’uccello d’oro era lontano tra le montagne di Cittakutta, con il suo stormo di novanta mila oche. Tutti amavano il loro Re ed erano molto, molto felici.

Ma un giorno le due oche più giovani dello stormo andarono dal Re e dopo essersi inchinate molto profondamente, annunciarono:
“Veniamo per prendere congedo da voi, o Re! Faremo una gara di corsa col sole.”
“Piccole mie,” rispose il Re, “le vostre piccole ali sono troppo deboli per volare con il sole; morireste per strada; perciò siate sagge e non andate.”

Ma le giovani oche non volevano arrendersi. Chiesero una seconda e una terza volta e poiché ricevevano sempre la stessa risposta dal loro Re, decisero di partire senza il suo permesso.
Così, prima dell’alba, se la svignarono furtivamente sul Monte Yughandara ed aspettarono il momento in cui il sole avrebbe fatto la sua comparsa.

Ben presto il Re venne a sapere che le piccole oche sciocche erano partite, e che stavano in attesa sul Monte Yughandara. Volò velocemente fino alla montagna e quando il grande sole rosso apparve nel cielo, e le due piccole oche aprirono le ali, le seguì. 

Dopo che la più piccola ebbe volato per qualche ora, le sue ali iniziarono a battere debolmente e non poterono più condurla oltre. Ma il Re stava volando vicino a lei e quando vide che la giovane oca era sul punto di precipitare a terra, salì fino a raggiungerla , la tranquillizzò e la portò sulle sue ali a Cittakutta.

Poi l’uccello d’oro tornò dall’altra piccola oca e volando più veloce del sole la raggiunse e si mise al suo fianco.

“Signore,” piangeva la giovane oca, “non ce la faccio più a volare.” Il grande uccello la prese delicatamente sulla sua ala e riportò anche lei a Cittakutta.

“Che cosa succederebbe se corressi più veloce del sole, che proprio ora è allo zenith?” pensò il grande uccello.

E attraversando le nubi, attraversando lo spazio, mille volte superò il sole.

Ma dopo un po’ pensò: “Cos’è per me il sole? Perché dovrei gareggiare con lui? Un compito assai più importante mi attende. Andrò dal mio amico, il Re di Benares, gli parlerò con saggezza e lui e il suo popolo saranno felici.”

Allora sorvolò il mondo intero, da un estremo all’altro, finché raggiunse la città di Benares.
Ancora una volta la città fu illuminata da un pulviscolo dorato. E planando lentamente verso terra, l’uccello d’oro andò a posarsi davanti a una finestra del palazzo.

“Il mio amico è venuto!” gridò il Re con gioia. E in tutto il palazzo risuonarono forti applausi. Il Re stesso portò un trono d’oro per l’uccello e lo invitò: “Vieni e siedi con me.”
Dopo aver rinfrescato le sue ali con essenze profumate e avergli dato dolce acqua da bere, il Re gli sedette accanto per conversare con lui.

“Da dove vieni, uccello meraviglioso? Dal giorno in cui hai volato sopra Benares, ho tanto desiderato rivederti” disse il Re.
“Vengo da Cittakutta, dalle montagne silenziose,” rispose la grande oca. 
Poi raccontò al Re la storia della sua corsa con il sole. Gli occhi del Re luccicavano nell’ascoltarlo.
“Pensi che sia possibile vederti gareggiare nella corsa con il sole?” chiese umilmente all’uccello.
“No,” rispose l’oca, “non si può vedere. Ma posso mostrarti in un altro modo, o Re, la velocità del mio volo.”
“In che modo, splendido uccello?” chiese il Re.
“Raduna quattro arcieri,” disse l’uccello,e dai ordine che scocchino contemporaneamente tutte le loro frecce verso un muro. Prima che esse tocchino la parete del muro le afferrerò nel mio becco.”
Il Re fece come l’uccello aveva chiesto, e quando i quattro arcieri scoccarono le frecce, il grande uccello le afferrò. Nessuna freccia raggiunse il muro.
“Meraviglioso!” esclamò il Re. “ Non può esserci velocità paragonabile alla tua, o uccello miracoloso?”
“Sì,” rispose l’uccello, “c’è una velocità superiore alla mia. Cento volte, mille volte, cento mila volte più rapida è la velocità del Tempo. Piaceri, ricchezze, palazzi! Il tempo se li porta via più veloce del mio volo più veloce.”
Il Re udendo queste parole tremò di paura. Ma l’uccello lo rassicurò e gli parlò dolcemente:
“O Re,” disse, “non aver paura. Se ami il tuo popolo e cerchi di renderlo felice, che importa se il tempo passa!”

Gli occhi del Re si colmarono di lacrime. “Nobile uccello,” disse, “non lasciarmi solo a regnare. Resta per sempre al mio fianco nel palazzo e parlami, affinché possa essere felice e rendere il mio popolo felice.”
“No,” disse l’uccello d’oro, “non resterò. Un giorno, dopo avere bevuto del vino, tu potresti dire: “Uccidete quell’uccello e facciamo un banchetto.”
“Non toccherei vino mentre sei qui!” esclamò il Re.
“Il verso di leoni e uccelli è chiaro e sincero,” disse l’oca, “ma le parole degli uomini non sono mai altrettanto vere. No, tornerò al mio regno e se mi vuoi bene saremo amici, anche se siamo molto lontani.”
“Non ti rivedrò mai più?” esclamò il Re.
“Un giorno forse ritornerò,” disse l’oca “e allora ci rivedremo ancora.”

Con queste parole distese le ali e si librò nell’aria; il cielo si fece di nuovo dorato e il regno fu felice per sempre.