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STORIA JATAKA NO 15. IL GRANDE ELEFANTE

Lontano, lontano nel deserto sabbioso c’era una piccola oasi di palme e fiori. E in quell’oasi, come un eremita solitario, viveva un elefante, uno splendido elefante. Mangiava i frutti degli alberi, e si abbeverava ad un piccolo ruscello che scorreva fra le rocce. Viveva felice, danzando tra i banani, ed osservando il giorno e la notte venire sul deserto.

Ma un giorno, mentre stava danzando, da lontano giunsero alle sue orecchie delle voci sconosciute.

“Di chi sono queste voci? “ disse tra sé. “Non sono forse voci di uomini, uomini infelici? Ma chi sono questi uomini, e perché attraversano il deserto? Sicuramente si sono persi, o forse provano un terribile dolore ”.

Erano questi i pensieri del bell’elefante mentre camminava in direzione delle voci.

Percorse un tratto di strada sulla sabbia rovente fino a quando incontrò una grande folla di uomini che stavano ormai per morire stretti gli uni agli altri, e a quella vista pietosa, i suoi occhi, per la prima volta nella sua vita felice, si colmarono di lacrime.

“O viaggiatori,” disse loro con voce gentile, “da dove venite, e dove state andando? Vi siete persi nel deserto? Ditemi qualcosa, vi prego, affinché io possa aiutarvi in qualche modo.”
Gli uomini furono talmente felici di udire queste amichevoli parole che caddero in ginocchio davanti a lui.

“O splendida creatura,” dissero, “il nostro Re ci ha scacciato dal nostro paese e abbiamo vagato nel deserto per molti giorni. Non abbiamo trovato neppure una goccia d’acqua da bere, né cibo per darci forza.”
“Aiutaci, caro amico,” dicevano piangendo “aiutaci.”
“Quanti siete?” chiese l’elefante.
“Eravamo un migliaio,” risposero, “ma molti sono morti lungo il cammino.”

L’elefante li guardò intensamente. C’era chi piangeva per la sete, chi chiedeva cibo.
“Cari uomini, voi siete deboli,” disse, “ e la città più vicina è troppo lontana per voi, non potete certo raggiungerla senza cibo e senza acqua. Perciò incamminatevi verso la collina che avete di fronte. Ai suoi piedi troverete il corpo di un grosso elefante che vi rifornirà di cibo, e lì vicino scorre un ruscello di acqua fresca.”

E non appena ebbe finito di parlare, incominciò a correre sulla sabbia rovente e scomparve così com’era venuto.

“Dove è andato il grande elefante? E perché se n’è andato così in fretta?”

Intanto l’elefante continuava a correre dritto verso la collina, la stessa che aveva indicato agli uomini; ma prese un’altra strada in modo che gli uomini non potessero vederlo. Si arrampicò fino alla cima della collina e poi dal punto più alto con un grande salto si buttò giù e il suo meraviglioso corpo si abbatté di schianto sulla terra.

Quando gli uomini giunsero sul posto, fissarono quella forma gigantesca e una grande paura li assalì.

“ Questo non è il nostro amico elefante?” esclamò uno di loro.
“Questo volto è lo stesso volto, gli occhi, benché chiusi, sono gli stessi occhi,” disse un altro.

E tutti si sedettero sulla sabbia e piansero amaramente.
Poco dopo uno di loro prese la parola.

“Compagni,” disse, “non possiamo mangiare questo elefante che ha dato la sua vita per noi.”
“No, amici,” disse un altro, “se non mangiamo questo elefante, il suo sacrificio sarà stato inutile, e moriremo prima di raggiungere un’altra città. Così non saremo aiutati, né sarà esaudito il desiderio del nostro elefante.”

Gli uomini non parlarono più, ma chinarono la testa sulla sabbia rovente e mangiarono la carne con le lacrime agli occhi. E ciò li rese forti, fortissimi, al punto che furono in grado di attraversare il deserto e di raggiungere una città dove misero fine alle loro sofferenze. Non dimenticarono mai il grande elefante, e vissero felici per sempre.