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STORIA JATAKA NO 13. IL SARABHA

Esiste un cervo che vive in una parte della foresta così profonda che nessuno lo vede mai. Gli uomini lo chiamano il Sarabha. Piccoli miei, se quando tutto il mondo è quieto ed il sole è ormai lontano vi mettete in ascolto, potreste udire la sua voce provenire in modo quasi impercettibile dai boschi.

Un giorno un re stava cacciando in questa foresta e si addentrò così lontano, ma così lontano, che uno di questi bellissimi Sarabha gli passò davanti agli occhi.

“Chi sei, creatura meravigliosa?” esclamò. Ma il Sarabha continuò a correre e scomparve tra gli alberi. 
“Lo catturerò,” esclamò furioso il Re; “non può sfuggirmi!”. E lanciandosi avanti sul suo cavallo scoccava frecce alla splendida creatura. Le frecce volavano tutt’intorno al cervo, ma lui non ne aveva paura e correva sul prato come un uccello vola nell’aria.

Il cavallo del Re correva sempre più veloce, e la foresta, le colline, le valli scorrevano senza che lui le vedesse. I suoi cacciatori, il suo esercito,le sue schiere di elefanti furono lasciati indietro nella foresta,a cercare invano il loro Re. Tutto fu dimenticato; nient’altro esisteva ormai sulla terra per il Re; soltanto la bellissima creatura che stava inseguendo.
“Corri, corri, … più veloce, più veloce!” gridava il Re infuriato. Gli zoccoli del suo cavallo a malapena toccavano terra come se galoppasse nell’aria. Ma all’improvviso raggiunsero un burrone profondo, che il Sarabha aveva saltato facilmente.

Il Re non vide il burrone; i suoi occhi erano fissi solo sulla preda che stava inseguendo, ma il cavallo se ne accorse e, non avendo il coraggio di saltare, di colpo si arrestò sull’orlo, e il Re fu scaraventato oltre la sua testa giù nel burrone.

“Perché non sento più il rumore degli zoccoli del cavallo?” pensò il Sarabha. “ Il Re se n’è andato, o forse è caduto nel burrone?”

Il Sarabha si voltò indietro e vide il cavallo correre qua e là senza cavaliere, e il suo cuore si riempì di dolore.

“Il Re è caduto nel burrone! E’ completamente solo! I suoi soldati sono lontani! Sicuramente sta soffrendo più di quanto possa soffrire chiunque altro in una situazione così penosa, perché lui ha un esercito, sfolgorante d’oro, un centinaio di elefanti e guardie del corpo che non aspettano altro che un suo ordine. Ma ora è solo, povero Re! Lo salverò, se è ancora vivo.”
Tali erano i pensieri del Sarabha quando si volse e tornò indietro verso il burrone. Raggiunto il bordo guardò in basso e vide il suo nemico che giaceva nella polvere, e si lamentava. Allora chinandosi, gli parlò con voce gentile: “Re degli uomini,” disse, “non avere paura di me. Non sono un folletto che fa del male a chi si è perso ed è lontano da casa. Bevo l’acqua che tu bevi e mangio l’erba che cresce sulla terra. Posso aiutarti, o Re, e tirarti fuori da questo burrone. Fidati di me, verrò.”

“È vero ciò che vedono miei occhi?” pensò il Re. “E colui che è venuto in mio aiuto non è il mio nemico?”

Il Re guardò su, verso il Sarabha e il suo cuore fu pieno di vergogna.

“Bella creatura,” disse, “non mi son fatto molto male, perché l’armatura che mi protegge è forte. Ma il pensiero che sono stato tuo nemico mi fa più male delle ferite. Perdonami, o benedetto.”

All’udire queste parole, il Sarabha seppe che il Re si fidava di lui e lo amava. Scese nel burrone e dopo aver preso il Re sul suo dorso, si arrampicò sulle alte pareti di roccia con una forza superiore a quella del più possente elefante, e lo condusse nella foresta.
Allora il Re abbracciò il Sarabha.

“Come posso ringraziarti?” disse. “Il mio palazzo, il mio regno sono tuoi. Vieni, mio caro, torna con me in città. Non posso lasciarti qui nella foresta col rischio che tu venga ucciso dai cacciatori o dagli animali selvaggi.”
“Nobile Re,” disse il Sarabha, “non chiedermi di venire al tuo palazzo. Il mio regno è qui, in questa foresta; gli alberi sono i miei palazzi. Ma se desideri rendermi felice, ti prego concedimi questo favore. Non cacciare più nella foresta, affinché coloro che vivono sotto gli alberi possano finalmente essere liberi e felici.”

Il Re fece volentieri questa promessa e ritornò al palazzo, con gran gioia del suo popolo, che lo accolse tra gli applausi. Allora, senza ulteriori indugi pubblicò un decreto che a partire da quel giorno nessuno doveva più cacciare nella foresta, e da allora il Re, il suo popolo e gli animali della foresta vissero tutti felici per sempre