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Gratitudine


La gratitudine nel carattere è come la fragranza nel fiore. Una persona in cui la gratitudine sia assente, per quanto istruita e qualificata nel lavoro della sua vita, è priva di quella bellezza di carattere che rende fragrante una personalità. 

Se rispondiamo ad ogni piccolo atto di gentilezza con riconoscenza, sviluppiamo nella nostra natura lo spirito di gratitudine; e imparando questo ci eleviamo allo stato in cui incominciamo ad essere consapevoli della bontà di Dio verso di noi, e per questo non possiamo mai essere abbastanza grati alla Sua compassione divina. 

Il grande poeta Sufi, Sa'di insegna che la gratitudine è il mezzo per attirare il favore, il perdono e la misericordia di Dio su di noi in cui si trova la salvezza della nostra anima. C'è molto nella vita per cui possiamo essere grati, nonostante tutte le difficoltà e i problemi della vita. 

Sa'di dice:" Il sole, la luna, la pioggia, le nubi son tutti impegnati a preparare il cibo per te. È davvero ingiusto se non lo apprezzi nella riconoscenza.” 

La bontà di Dio è qualcosa che non si può imparare a riconoscere immediatamente; occorre tempo per comprenderla. Ma i piccoli gesti di gentilezza che riceviamo da chi ci circonda possiamo riconoscerli, e possiamo essere grati se vogliamo esserlo. In questo modo l’uomo sviluppa gratitudine nella sua natura, e la esprime nei suoi pensieri, nelle sue parole, nelle sue azioni come una squisita forma di bellezza. Finché si pesa e si misura e si dice: “Quanto ho fatto per te” e “Quanto hai fatto per me”, “Come sono stato gentile con te” e “Come sei stato buono con me”, si spreca il proprio tempo discutendo su qualcosa che è inesprimibile a parole; inoltre, con ciò si chiude la fontana di bellezza che sgorga dalla profondità del proprio cuore. La prima lezione che possiamo imparare sul sentiero della riconoscenza è dimenticare completamente quello che facciamo per un altro, e ricordare soltanto quello che l’altra persona ha fatto per noi. Durante tutto il cammino sul sentiero spirituale la cosa essenziale da realizzare è dimenticare il nostro falso ego, affinché in questo modo possiamo arrivare un giorno alla realizzazione dell’Essere Che noi chiamiamo Dio. 

C’è una storia di uno schiavo di nome Ayaz, che fu condotto al cospetto del re con altri nove schiavi, e il re ne doveva scegliere uno che diventasse il suo inserviente personale. Il saggio re diede in mano a ognuno dei dieci schiavi un bicchiere e gli ordinò di rovesciarlo. Tutti obbedirono all’ordine. Poi il re chiese a ognuno di loro: “Perché hai fatto questa cosa?”. I primi nove risposero: “Perché sua Maestà me l’ha ordinato”; la pura verità nuda e cruda. Poi arrivò il decimo schiavo, Ayaz: “Perdono, sire, mi dispiace”, perché si era reso conto che il re sapeva già che era un suo ordine; e rispose: “Perché me lo avete detto voi”, nulla di nuovo venne detto al re. La bellezza di questa espressione incantò il re a tal punto che lo scelse come suo inserviente personale. Non trascorse molto tempo prima che Ayaz conquistasse la fiducia e la confidenza del re, che gli affidò la cura del suo tesoro in cui erano custoditi preziosi gioielli. Questo improvvisa carriera da schiavo a tesoriere del re, una posizione che molti invidiavano, creò molta gelosia. Non appena la gente seppe che Ayaz era diventato un favorito del re incominciarono a raccontare numerose storie su di lui per farlo cadere in disgrazia agli occhi del re. Una delle dicerie era che Ayaz andava ogni giorno nella stanza dove i gioielli erano chiusi in cassaforte, e che li rubava ogni giorno, un po’ alla volta. 

Il re rispose: “No, non posso credere a una cosa simile! Dovete dimostrarmelo”. Perciò chiamarono il re quando Ayaz entrò nella stanza, e lo fecero stare in un punto dove c’era un buco da cui guardare nella stanza. E il re vide quello che stava accadendo. Ayaz entrò nella stanza e aprì la porta della cassaforte. E cosa tolse da lì? I suoi vecchi, logori abiti che aveva indossato quando era uno schiavo. Li baciò, li premette sul suo viso, e li mise sul tavolo. C’era incenso che bruciava, e questo perché quello che stava facendo era qualcosa di sacro per lui. Allora indossò questi abiti, si guardò allo specchio, e disse, nel modo in cui si direbbe una preghiera: “Ascolta, Ayaz, guarda quello che eri prima, È il re che ti ha creato, che ti ha dato la responsabilità di questo tesoro. Perciò considera questo dovere come una fiducia molto sacra, e questo onore come un tuo privilegio, e come un segno dell’amore e della gentilezza del re. Sappi che non è il tuo valore che ti ha portato a questa posizione. Sappi che sono la sua grandezza d’animo, la sua bontà, la sua generosità che hanno trascurato i tuoi difetti e che ti hanno concesso questo rango e questa posizione con cui ora sei onorato. Non dimenticare mai, quindi, il tuo primo giorno, il giorno in cui sei arrivato in questa città; perché è il ricordo di quel giorno che ti farà restare al posto giusto.” Poi si tolse i vestiti e li mise nello stesso posto nella cassaforte, e uscì. Quando uscì cosa vide? Vide che il re davanti al quale si inchinò lo stava aspettando col desiderio di abbracciarlo; e il re gli disse: “Che lezione mi hai dato, Ayaz! Questa è la lezione che tutti dobbiamo imparare, qualunque sia la nostra posizione. Perché davanti a quel Re alla cui presenza tutti noi siamo servitori, nulla dovrebbe farci dimenticare l'impotenza nella quale siamo stati allevati e cresciuti, e che siamo stati creati, per comprendere e vivere una vita di gioia. La gente mi ha raccontato che tu rubavi gioielli dalla mia cassaforte, ma venendo qui ho scoperto che tu hai rubato il mio cuore.