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ESSERE MUREED: INIZIAZIONE E DISCEPOLATO

Di Murshid Karimbakshs Witteveen - 4/6/1999 – Italia

Siamo tutti felicemente iniziati qui vero? Cos’è l’iniziazione? Hazrat Inayat Khan dice che significa un nuovo inizio. Che tipo di nuovo inizio? Penso che il miglior modo di esprimere tale concetto sia il seguente, intraprendere un nuovo inizio con il viaggio interiore, la vita interiore. C’è un bellissimo libro di Hazrat Inayat Khan intitolato appunto “La Vita Interiore”, (The Inner Life) che purtroppo non è stato ancora tradotto in Italiano, ma un giorno o l’altro succederà (NdC : ora lo potete trovare tradotto in www.blurb.com). È un libro importante perché spiega di cosa si tratta questa vita interiore e cosa è necessario per viverla appieno. 

Hazrat Inayat Khan dice di considerare la vita interiore come un viaggio interiore che può portare molto lontano, che può occupare una vita intera e che è diretto verso l’interno. Ciò significa che la direzione è totalmente opposta a quella della vita esteriore che corrisponde a quando ci guardiamo attorno, vediamo questo bellissimo mondo e viviamo tutte le nostre esperienze felici o meno felici. Abbiamo i nostri successi, le nostre sconfitte, dobbiamo lavorare e in questo modo sviluppiamo una personalità. Abbiamo molte esperienze ed impressioni che raccogliamo e teniamo nella nostra memoria. All’inizio della nostra vita siamo occupati soprattutto da queste cose, abbiamo dimestichezza con questo. La maggior parte del tempo siamo occupati a pensare a quello che dobbiamo fare per vivere la vita esteriore. Ma Hazrat Inayat Khan spiega che questa in verità rappresenta soltanto metà della nostra vita. C’è un altro aspetto completamente diverso, la Vita Interiore appunto. È la vita nella quale cerchiamo l’esperienza spirituale, cerchiamo di entrare in contatto col Divino. Quando abbiamo vissuto tutte le nostre esperienze esteriori, arriva un momento in cui tutto questo non ci soddisfa più a pieno e abbiamo dentro di noi la sensazione che dobbiamo fare qualcos’altro che possa darci un altro genere di soddisfazione, di felicità, che vada molto più in profondità e che rappresenti ciò che più di tutto desideriamo nel profondo del cuore. Quando quel desiderio sorge e ne diventiamo consapevoli, quello sarebbe il momento opportuno per iniziare la vita interiore o il viaggio interiore. Possiamo soddisfare quel desiderio solo rivolgendoci verso l’interno e cercando il contatto con Dio. Questo è possibile soltanto quando per un certo tempo ci distogliamo dal mondo esteriore, dalla vita esteriore, e non pensiamo a tutte le impressioni e le cose che ci vengono addosso. Tutte queste cose spariscono dalla nostra coscienza di modo che ci sia permesso di aprire il nostro cuore all’esperienza interiore che solo in quel momento può avvenire. Che accada o meno non dipende mai completamente da noi. 

Possiamo prepararci a questa esperienza con determinati esercizi che aiutino a tranquillizzare la mente e quando quel desiderio di questo genere di esperienza, il nostro desiderio di Dio, diventa forte allora la risposta può venire come esperienza interiore. Questo è l’inizio del sentiero interiore. Ora, partendo da queste brevi indicazioni, appare subito chiaro che non è un sentiero molto facile perché l’attenzione spesso è rivolta verso la vita esteriore ed è molto difficile distogliersi da quest’ultima. Questa esperienza interiore possiamo averla in modo del tutto naturale quando siamo completamente assorbiti dalla bellezza di qualcosa. La bellezza pura della natura ad esempio o di una grande opera d’arte, quando ne siamo talmente impressionati da dimenticare tutto il resto, tutto ciò che fa pare della vita esteriore e che solitamente ci tiene occupati: solo allora può accadere un’esperienza come la vita interiore. Quando imbocchiamo questo sentiero l’idea è quella di incominciare a lavorare in modo da aprirci più facilmente allo scopo di incontrare questa esperienza interiore, in modo da riceverla più spesso e da permetterle di incominciare ad operare nella nostra vita. Questa è l’idea della vita interiore. Ora, siete stati tutti iniziati e sapete tutti che prima di questa iniziazione avete fatto delle promesse una delle quali è di rispettare tutto ciò che vi viene affidato come una cosa segreta e sacra. Cosa vuol dire? Perché è sacra ed è segreta? Gli esercizi spirituali che vi vengono dati dopo l’iniziazione e che vanno eseguiti con grande regolarità ogni giorno hanno lo scopo di aprire il cuore al divino per creare un contatto con Dio onnipotente. Questo vuol dire che questi esercizi sono segreti e che il nostro atteggiamento nei loro confronti dovrebbe essere di grande rispetto. Dovreste considerarli più importanti di qualsiasi altra cosa nella vita, qualcosa di molto prezioso che ci è stato affidato. Quello che serve qui è un atteggiamento molto diverso da quello che usiamo per imparare qualcosa, per esempio, all’università. Anche lì dobbiamo imparare ed aprire la mente per imparare materie scientifiche o altre materie che ci vengono spiegate, ma è pur sempre qualcosa che facciamo con la mente. È importante che si metta la mente al lavoro per analizzare il soggetto o le tematiche, riflettendo su di essi in modo indipendente usando le nostre facoltà critiche, per giungere a un nostro giudizio. Questo è l’atteggiamento che è importante avere nel mondo scientifico o nelle nostre istituzioni democratiche. È un atteggiamento che ha un grande valore e ci ha permesso di avere sempre più progresso scientifico e in altri ambiti grazie al fatto che vengono fatte sempre nuove scoperte da quando gli scienziati hanno cominciato a dubitare delle teorie precedenti. Teorie che sono state accettate per un certo tempo o alle quali tutti gli scienziati hanno creduto per un certo tempo. Ma a un certo punto arriva qualcuno che non ci crede e mette tutto in discussione e vede un aspetto che secondo lui sarebbe più corretto, comincia a rifletterci attentamente ed espone una nuova teoria più profonda e migliorativa. Questo modo di pensare indipendente è molto importante nel mondo e nella vita esteriore. Naturalmente la nostra scienza spiega la vita esteriore come qualcosa che muta costantemente. Anche la nostra società cambia costantemente, così anche la nostra vita. Si arriva a nuovi modi di vedere e concepire, tutto cambia costantemente. Ma la vita interiore rimane sempre la stessa, sempre uguale, perché la verità divina è sempre stata e sempre sarà. Dio è eterno. Sta a noi scoprire qualcosa della sua grandezza. Quindi nella vita interiore cerchiamo una verità eterna che è sempre la stessa. Ma dobbiamo fare un bel po’ di strada per scoprirla, questo è un lungo viaggio interiore. Qui non abbiamo bisogno dell’atteggiamento che mette in dubbio, che mette in discussione, che distingue, che analizza e così via. Abbiamo semplicemente bisogno di aprire il nostro cuore con un atteggiamento di rispetto ed arrendevolezza. Uno dei requisiti essenziali è incominciare a vedere attraverso il nostro ego limitato, imparare a controllare tale ego, che i Sufi chiamano nafs, che significa identificarsi con la nostra personalità limitata, quindi con il nostro corpo, con la nostra personalità, coi nostri pensieri e sentimenti, con le esperienze che abbiamo sempre nella memoria; significa riconoscere in noi stessi solo quella persona che ha un certo nome, che ha una certa storia, che vive in un certo posto, che fa un certo tipo di lavoro, che ha un certo tipo di ambizioni. Noi conosciamo in questo modo e tendiamo a dire: “Questo è quello che sono”, cioè ci identifichiamo con quella personalità. Il segreto della vita interiore sta nello scoprire che questo non è quello che siamo veramente, che tutto questo è semplicemente uno strumento che ci è stato dato per poter vivere questa vita. Il nostro vero essere è solo ciò che chiamiamo anima, che è semplicemente un’emanazione del divino. Questa è la verità essenziale non solo del Sufismo, ma anche del misticismo che attraversa tutte le religioni, una verità spesso nascosta nei rituali delle varie fedi. La verità essenziale è che ciò che siamo è qualcosa che fa parte della luce divina. Hazrat Inayat Khan la chiama “una porzione della coscienza divina”. Evidentemente siamo tutti uniti a questa coscienza che pervade tutto, ma quella particolare porzione di coscienza divina è concentrata in un particolare individuo, in modo che questa vita terrena possa essere vissuta come un’esperienza così interessante, che per un certo tempo l’anima dimentica la sua stessa esistenza e vede solo quell’esperienza esterna. Anche questa esperienza esterna ha un grande valore. L’anima viene sulla terra perché desidera vivere questa esperienza; è un desiderio molto profondo, desidera fare qualcosa in questa vita. L’anima in questa vita terrena giunge con un determinato scopo e la luce di quello scopo viene accesa in seguito in quell’anima. L’esperienza esteriore è molto importante e siamo così coinvolti da essa che è l’unica cosa di cui siamo consapevoli e così dimentichiamo il nostro vero essere. Questo ci impedisce di stabilire un contatto con l’anima che siamo. L’identificazione con quella personalità limitata è responsabile di tutte le difficoltà della società umana, perché le personalità sono differenti, hanno idee diverse interessi diversi, ed entrano facilmente in conflitto con le altre, generando aggressioni, sofferenza e disarmonia. Ma il nostro cuore non può mai essere felice quando c’è disarmonia perché il nostro vero essere divino è connesso con tutta la creazione e desidera vivere l’unità della creazione e vederla in armonia. Per poterlo fare dobbiamo controllare il nostro nafs. Hazrat Inayat Khan dice che tutte queste aggressioni e lotte sono causate dai nafs e se vogliamo creare pace dobbiamo controllare i nostri nafs. Questo è anche quello che apre la via al viaggio interiore. Dobbiamo staccarci da questa personalità esteriore in modo da poter aprire il nostro cuore all’esperienza del Divino. 

Dobbiamo considerare che nel viaggio interiore e nella scuola interiore gli esercizi mistici sono importanti, ma altrettanto importante, forse anche di più, è applicare questi ideali nella nostra vita, imparando a controllare il nafs, il falso ego. Solo in questo modo possiamo espanderci, capire ed estendere la nostra anima alle altre persone. Possiamo così creare armonia nella nostra vita, che è la chiave della felicità. In questo modo, la vita interiore intesa come esercizio, può andare di pari passo con la vita esteriore nel modo in cui viviamo, nel modo in cui sviluppiamo i rapporti con le altre persone. Anche il discepolato è molto importante, non solo per gli esercizi che vengono dati ma perché il maestro ci aiuta nell’altra vita, in quella interiore, e ci aiuta anche a vedere la vita esteriore da un altro punto di vista. Questo spiega la qualità sacra del nostro lavoro nella vita interiore. 

Ma perché è segreta? 

Questo è ancora più difficile da capire. Gli esercizi in sé non sono segreti, sono stati descritti in tanti libri. Nei contatti con le diverse religioni si trovano esercizi, pratiche mistiche, che sono stati vissuti nell’arco di secoli o millenni. Pir-o-Murshid Hidayat Khan, l’attuale guida della scuola interiore, spiega nei suoi libri in grande dettaglio alcuni degli esercizi più importanti della scuola interiore. Quindi in questo senso non c’è nessuna segretezza per quanto riguarda gli esercizi. Ma ciò che è importante è che ogni mureed consideri gli esercizi che gli sono stati affidati come una cosa segreta che è stata affidata ad ognuno di loro personalmente. Perché è molto personale, preziosa, un aiuto per rivolgersi verso l’interno, invece di rivolgersi verso l’esterno, disperdendo parte dell’energia che andrebbe rivolta verso l’interno. C’è il pericolo che raccontando alla gente dei bellissimi esercizi che si stanno facendo, il nafs, in un certo senso, ne prenda il controllo. Magari si comincia a pensare: “che bello sto facendo questi esercizi”, e in questo modo si cade nella trappola del nafs e si elimina ogni possibilità di esperienza interiore perché non c’è più il giusto atteggiamento. Questo è uno dei motivi per cui è importante che ciascuno di noi consideri segreti questi esercizi. In un certo senso il fatto di non parlarne, tranne che con l’iniziatore, rappresenta una disciplina. È importante ogni tanto parlarne con l’iniziatore, per vedere se li facciamo in modo giusto o se eventualmente sia meglio cambiare o ricevere un altro esercizio. C’è un altro motivo: lo stesso esercizio può essere trasmesso in modi diversi, con variazioni diverse. Ci sono tantissimi wazifa, e l’arte dell’iniziatore sta nel dare il tipo giusto di wazifa nel momento giusto ad ogni mureed, nel modo che è più adatto a quel particolare mureed. È proprio per questo che non serve discuterne con altri mureed, si crea solo confusione, perché magari abbiamo ricevuto lo stesso tipo di esercizio, ma con modalità e finalità diverse. Parlandone un mureed lui può cominciare a pensare: “ma ora che ho sentito questo il mio esercizio è giusto?”, perché il rapporto con l’iniziatore è molto sottile. C’è anche un terzo motivo importante ed è che ogni pratica che il maestro spirituale affida ad ogni mureed crea anch’essa un legame con il maestro. Il maestro dà una benedizione tramite quel particolare esercizio e quindi non è semplicemente un mantra che si ripete ma è anche una benedizione che si riceve dal maestro. È il pensiero del maestro che ha suggerito questo esercizio. Uno psicologo francese che ha vissuto a lungo in India, che ha avuto contatti con numerosi guru per vivere la vita interiore e allo stesso tempo per capirla dal punto di vista della psicologia moderna, descrive alcuni aspetti molto interessanti. Dice che nella tradizione indiana, il rapporto tra mantra e maestro viene capovolto, nel senso che il mantra o wazifa, o qualsiasi altro esercizio, è un mezzo, uno strumento che permette alla potenza spirituale del maestro di operare attraverso quel mezzo. Questo psicologo chiarisce il concetto con la solita storiella di un re indiano. Il suo primo ministro aveva un guru e regolarmente diceva un mantra. Il re se ne accorse e lo trovò molto interessante. Chiese: “Primo ministro puoi insegnarmi questa pratica”? Il primo ministro rispose: “Mi dispiace ma non posso farlo, non sono un guru”. “Perché non puoi?” Allora il primo ministro si rivolse ad una guardia e le ordinò con voce ferma: “Arresta quest’uomo!”, indicando il re. La guardia armata ovviamente non si mosse. Allora il primo ministro ripeté di nuovo “Arresta quest’uomo!!!”, puntando sempre il dito verso il re, ma la guardia non si mosse. Allora il re spazientito disse: “La smetta con queste scemenze”, e ordinò alla guardia: “Arresta quel tale” e la guardia immediatamente arrestò il primo ministro. Il primo ministro allora disse al re: “Avete visto che differenza fa se la stessa parola viene detta da una persona o da un’altra?! Il risultato è molto diverso in base a chi dice la stessa cosa”. Quella fu la sua spiegazione. Il risultato, quindi, è il collegamento spirituale fra allievo e maestro, e questo ci porta alla tematica del discepolato. Ho già spiegato che dobbiamo avere un atteggiamento diverso rispetto a quello della vita esteriore, serve un atteggiamento ricettivo, di apertura del cuore. Quindi è proprio l’opposto dell’atteggiamento che usiamo nella vita esteriore. Nel bellissimo libro che ho citato prima, La Vita Interiore, Hazrat Inayat Khan spiega che nella vita esteriore bisogna essere attivi con la volontà, mentre nella vita interiore bisogna essere passivi, arrendevoli. Quando nella vita interiore ci si arrende arriva ispirazione o intuito e allora ci si può volgere verso la vita esteriore e agire in funzione di questa ispirazione. In questo modo la vita interiore e la vita esteriore possono procedere insieme, di pari passo, in modo molto bello. Infatti, Hazrat Inayat Khan dice che arriviamo alla pienezza della vita soltanto se viviamo sia la vita esteriore che quella interiore. Questo comporta, ovviamente, delle conseguenze per il nostro modo di vivere: ad esempio, dobbiamo disimparare. Nel mondo esterno dobbiamo sempre imparare dall’inizio alla fine, non facciamo altro che imparare, dai genitori, dalla scuola, dall’università, dall’esperienza del lavoro, dai libri, da mille cose, accumuliamo continuamente conoscenza. Ma per la vita interiore è importante disimparare, dice Hazrat Inayat Khan. Questo può sembrare molto strano a prima vista: adesso che abbiamo imparato tutte queste cose ora dobbiamo disimpararle? Ma disimparare non significa che bisogna dimenticare tutto, significa che non ci si deve sentire legati a quanto si è imparato. Non bisogna essere attaccati a ciò che si è imparato nella vita esteriore e così si ha la possibilità di sviluppare un punto di vista più ampio. Hazrat Inayat Khan dice che il Sufi dovrebbe vedere tutto da due punti di vista: il suo e quello dell’altro. Con tutte le nostre conoscenze esteriori abbiamo costruito un castello di sofisticazione che è sempre il nostro punto di vista, e in esso ci imprigioniamo. Bisogna fare un passo indietro o al di fuori per cercare di metterci al posto di un’altra persona con cui vogliamo lavorare o vivere, e cercare di vedere le cose dal punto di vista di quella persona. Hazrat Inayat Khan definisce questo come un ampliamento della coscienza, della consapevolezza. Questo facilita il liberarsi, lo staccarsi da quel castello. Questa è la condizione per imparare ad essere veramente tranquilli. In tutto questo il maestro spirituale può essere di grande aiuto. Innanzitutto con gli esercizi che dà e inoltre per discutere di situazioni e problemi che si incontrano nella vita. Nella nostra scuola interiore la cosa importante è il messaggio di libertà spirituale. Non è come in altre scuole dove il maestro dà istruzioni, impartisce ordini e dice di fare questo o quello. Qui è più una situazione dove il maestro ascolta ciò che il mureed ha da dire o da chiedere e poi mostra come potrebbe vedere la cosa da un altro punto di vista. In questo modo il mureed, in un certo senso, si vede in uno specchio e questo gli permette di prendere le distanze dal suo se esteriore in modo che possa svilupparsi il punto di vista più elevato. È l’arte dell’aprirsi in modo che possa arrivare la risposta al quesito. Il maestro spirituale non dirà al mureed di fare qualcosa ma permetterà al mureed di avere la risposta dalla sua interiorità. Deve essere un rapporto di grande fiducia, dato che spesso si discute anche di cose personali. La gente a volte pensa: “Ma posso ricevere indicazioni dalla mia coscienza”. Certo, questo è possibile, ma assume un grande valore poterne parlare con un'altra persona che rispettiamo profondamente, che siamo disposti ad ascoltare. In questo modo possiamo più facilmente individuare certe idee limitanti saldamente radicate in noi stessi. Rimane sempre il quesito relativo al maestro spirituale. Il maestro non è una persona perfetta, può darsi che scopriamo in lui qualche manchevolezza, può essere che ci deluda e in tal caso dovremmo distogliere l’attenzione da ciò. Dovremmo assumere un atteggiamento che non presta attenzione alle eventuali manchevolezze che potremmo vedere in lui. Vedere in lui solo il canale attraverso cui può giungere a noi l’ispirazione divina. Lo stesso psicologo summenzionato disse che il rapporto del discepolo con il guru non deve essere un culto della personalità come la gente pensa. Il guru deve essere invece visto come una finestra verso la divinità. Poi possiamo scegliere se soffermarci sulla struttura della finestra o vedere attraverso di essa il bellissimo cielo che c’è al di là. Questo dovrebbe essere l’atteggiamento. Nel Movimento Sufi siamo molto felici di avere questa scuola interiore dove c’è un buon numero di iniziatori che sono progrediti sul sentiero spirituale e sono in grado di iniziare, ma loro stessi sono soltanto i rappresentanti di Pir-o-Murshid Hazrat Inayat Khan, che ha fondato questa scuola, e del Pir-o-Murshid che sta guidando ora questa scuola. Quindi, si dovrebbe creare un canale attraverso il quale l’ispirazione di Hazrat Inayat Khan stesso possa arrivare fino a noi. Se questo viene visto chiaramente, ci protegge dal pericolo di sviluppare un potere personale eccessivo che potrebbe crescere nel maestro e nel rapporto tra discepolo e maestro. Il pericolo esiste sempre perché il nafs è un nemico molto pericoloso che dobbiamo continuare a combattere e che non cede mai. Possiamo vincere in molti modi questo nafs, possiamo individuare molti dei suoi tranelli, ma ne inventerà sempre di nuovi. Forse abbiamo superato un certo tipo di vanità e stiamo lavorando alla vita interiore ma c’è il pericolo che ne spunti un’altra, che ci indentifichiamo con il ruolo che giochiamo nella vita interiore o che riteniamo i nostri esercizi qualcosa che dobbiamo acquisire e che ci può dare potere. Allora manchiamo lo scopo. Questi esercizi servono solo a permetterci, a darci lo stimolo, per mettere a tacere la mente e arrenderci al Divino. Sia per i mureed che per l’iniziatore. È per questo scopo che lavoriamo nella Scuola Interiore del Sufismo. Siamo tutti molto umani, nessuno è senza difetti, manchevolezze, ma ci stiamo lavorando nella speranza di capire sempre di più e lavoriamo per sconfiggere questo falso ego, per arrivare alla libertà che viene dal distacco, dall’indifferenza e dall’indipendenza, rappresentate dalle due ali del simbolo Sufi, che ci permettono di aprire il cuore e lasciare che si elevi verso le sfere celesti. È bellissimo se questo viaggio può essere percorso in contatto amichevole con l’iniziatore, la guida spirituale, che cammina insieme a noi sul sentiero, in modo che attraverso tutte le difficoltà della vita saremo sempre in grado di sintonizzarci con lo spirito del Divino che ci ispirerà e ci mostrerà sempre la via. 

Sempre e solo quando lo desideriamo, quando ci apriamo: solo allora l’ispirazione verrà data, se Dio vorrà.