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Intelletto e Saggezza (I)

Spesso le persone confondono i due termini intelletto e saggezza; a volte usano la parola intelletto al posto di saggezza, a volte saggezza al posto di intelletto. Di fatto queste sono due qualità completamente diverse. Il sapere che si apprende conoscendo nomi e forme nel mondo esteriore appartiene all’intelletto; ma c’è un’altra fonte di conoscenza, e questa fonte di conoscenza è dentro di sé.

Le parole “dentro di sé ” potrebbero confondere alcune persone. Potrebbero pensare che “dentro di sé ” significhi dentro il proprio corpo; ma questo è perché l’uomo non sa nulla di se stesso. L’uomo ha un’idea assai limitata di se stesso, e questo lo fa rimanere nell’ignoranza del suo vero sé. Se soltanto l’uomo sapesse quanto esteso, quanto ampio, quanto profondo, quanto alto è il suo essere, penserebbe, agirebbe, e sentirebbe in modo diverso; ma nonostante tutta la sua ampiezza, la sua profondità e la sua altezza, se l’uomo non è consapevole di questo è piccolo quanto lui stesso pensa di essere.

L'essenza del latte è il burro, l'essenza del fiore è il miele, l'essenza dell'uva é il vino e l'essenza della vita è la saggezza. Saggezza non è necessariamente conoscenza di nomi e forme; saggezza è la somma totale della conoscenza che si ottiene sia dall'interno che dall'esterno. 

Una persona intellettuale argomenterà, discuterà, ma molto spesso di un argomento che lei stessa non conosce completamente; e frequentemente si scopre che lo fa proprio perché non conosce l'argomento completamente. All'apparenza l'argomentazione di queste persone fa credere che lo conoscano, ma proprio perché lo discutono è evidente che non lo conoscono. Chi sa non ha bisogno di discutere; sa; ed è così soddisfatto della sua conoscenza che non ha la fame che viene sentita dalla persona che discute. 

In natura si può trovare una traccia di saggezza studiando l'istinto: tra gli uccelli, l'arte di costruire un nido, tra i pesci l'arte di nuotare, e la scienza che esiste tra gli animali e gli uccelli, che conoscono la loro medicina quando sono ammalati. Nelle antiche tradizioni Orientali esiste la credenza che la medicina si imparava innanzitutto dall'orso. La ragione era che l'orso sapeva, quando era ammalato, dove andare e quale pianta o rimedio trovare e assumere, per portare a una guarigione. 

Ciò che chiamiamo studio intellettuale è una collezione di conoscenza che è stata data all'uomo come qualcosa da imparare, che lui ritiene sia qualcosa su cui fare affidamento; ma questa non è tutta la conoscenza; è solo una porzione limitata di conoscenza. C'è un altro aspetto che si può trarre dall'essenza della vita. Quello che viene chiamato istinto negli animali, negli uccelli,e nella creazione inferiore, quel medesimo istinto,quando è sviluppato, nell'uomo diventa intuizione. Non è vero come sostengono alcuni psicologi che tutto quello che un bambino sa è stato appreso, che sia un atteggiamento positivo o negativo, o un comportamento buono o uno cattivo. Se due bambini di genitori diversi o di razza diversa venissero educati senza una formazione particolare, si scoprirebbe che ognuno manifesta modi e tendenze diverse.

Se si dovesse prendere in considerazione quanto si apprende dal mondo esteriore e quanto si apprende dall’interno, non sarebbe un’esagerazione affermare che si apprende il novantanove per cento dall’interno e l’un per cento dall’esterno, al massimo. Non è l’istruzione esteriore che fa sì che un uomo diventi una persona veramente grande o una personalità nel mondo; è il sapere interiore che l’aiuta a diventarlo. Questo non significa affatto che il sapere esteriore non sia necessario, il sapere esteriore come strumento per esprimere nella forma migliore il sapere che si ottiene dall’interiorità; tuttavia, se qualcuno ha mai appreso qualcosa, è dall’interno che lo ha appreso. 

L’intelletto, in ogni fase del suo sviluppo, è un gradino verso la conoscenza della verità, e quindi l’attività intellettuale non dovrebbe essere condannata come mezzo senza alcun valore per raggiungere la verità. 

Ugualmente, è presuntuoso da parte dell’uomo cercare di valutare la verità mediante l’intelletto. L’intelletto è la matrice che viene formata da tutto ciò che abbiamo imparato e sperimentato, e tramite questa matrice l’intelligenza lavora; l’intelligenza è la qualità che conosce. 

La conoscenza intellettuale ha molto a che fare con il cervello, mentre la saggezza viene da dentro il cuore. Nella saggezza operano sia la testa che il cuore. Si potrebbe chiamare il cervello la sede dell’intelletto, e il cuore il trono della saggezza; ma non si trovano effettivamente nel cervello o nel cuore. La saggezza potrebbe essere definita conoscenza spirituale ma la miglior definizione di saggezza sarebbe conoscenza perfetta, la conoscenza della vita dentro e fuori. 

Come si persegue la saggezza che è dentro? Innanzitutto realizzando che l’intuizione esiste dentro di noi. Forse non tutte le persone credono nell’intuizione; e tra quelle che ci credono non tutte si fidano della loro intuizione. Senza dubbio hanno una ragione per non fidarsi, perché un’intuizione spesso sembra una conoscenza inutile; ma per quale ragione l’intuizione si rivela sbagliata? Perché non era un’intuizione; pensavano soltanto che lo fosse. Non tutti sanno afferrare il loro primo impulso, perché l’attività della mente va sempre da un cosa all’altra. Appena un pensiero viene da dentro, l’attività della mente la induce ad andare a un altro pensiero, e così la mente crede di aver pensato a un’idea mentre in realtà è passata a un’altra idea. 

In questo modo si incomincia a non avere fiducia dell’intuizione; e quando non ci si fida della propria intuizione non si ha fiducia in se stessi, e il significato della fede è fiducia in se stessi. Qualunque sia la fede o la credenza di chi non ha fiducia in se stesso, non sarà effettiva. Se una persona andasse da un saggio e dicesse: “ Credo in te, mi fido di te, ma non riesco a fidarmi di me stesso” , lui direbbe: “Apprezzo davvero molto la tua fiducia e la tua fede, ma non posso fidarmi di te”. Se , tuttavia, un’altra persona arrivasse e gli dicesse: “ Mi fido di me stesso, ma non so ancora se mi posso fidare di te”, il saggio dirà: “ C’è speranza per quest’uomo”, perché saprà che quella persona ha già fatto il primo passo; ora deve fare il successivo. 

L’uomo che non riesce a fidarsi della sua intuizione è perplesso, non sa cosa vuole. Dipenderà sempre da cose esteriori che gli danno delle ragioni; ma le cose della vita esteriore che sono soggette a un continuo cambiamento, alla morte e alla distruzione, non sono affidabili. Queste cose dagli Indù sono chiamate Maya o illusione. Una persona che si definisce un positivista perché fa affidamento sulla ragione esteriore, fa affidamento su qualcosa di mutevole e soggetto alla morte.

(I parte)