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L’arte della Personalità e la Cultura Morale Murshid Hidayat Inayat-Khan


Sappiamo tutti che in questa difficile vita ci viene richiesto uno sforzo per essere qualcosa. In conseguenza a questo fatto, si presume che “essere” vale anche per la spiritualità, senza rendersi conto che la spiritualità non ha alcun significato se non si scopre che pretendere di essere qualcosa sul sentiero conduce soltanto allo scoraggiamento. Umiltà non significa perdere la propria personalità, ma piuttosto guadagnare brillantezza, come la luce in una lampadina che non fa luce soltanto all’interno del globo ma si irradia fin dove la sua brillantezza arriva.

Il viaggio sul sentiero richiede sforzi costanti per forgiare il carattere in un esempio vivente di Amore, Armonia e Bellezza, in modo da poter essere un portatore di felicità, sorvolando su tutto ciò che ci disturba quando gli altri non sono d’accordo con i nostri pensieri, e facendo ogni sforzo per lavorare ai propri fallimenti, piuttosto che giudicare gli altri. Anche in una caduta c’è una pietra nascosta su cui innalzarsi al di sopra dei difetti, delle distinzioni e delle differenze, sintonizzando il proprio ego, in armonia con coloro che incontriamo, e in compagnia dei quali potremmo in seguito scoprire barlumi di saggezza nascosta.

Quando abbiamo a che fare con gli altri, ogni gesto di gentilezza e di considerazione viene offerto senza nessuna aspettativa di ricompensa; ma le persone sagge fanno attenzione a non vantarsi delle loro buone azioni, riconoscendo che la vanità è un velo che affievolisce la luce dell’apparente compassione.

Non esiste esperienza nella vita che sia realmente inutile, e non c’è un istante che sia realmente sprecato, a condizione che si sia abbastanza saggi da assemblare con cura i frammenti delle memorie del passato e imparare da loro con il proposito di realizzare lo scopo della propria vita, sebbene la propria visione di giusto e sbagliato non sempre può corrispondere a quella degli altri.

Qualsiasi ruolo si svolga come attore nel gioco della vita ben presto diventa un’intossicazione, e in quell’incantesimo ci si aggrappa all’illusione della propria identità, ma non appena si scopre che nulla è veramente assoluto, si realizza che tutto non è nient’altro che il gioco di un momento, quali che siano le proprie condizioni, buie o luminose, e che tutti i valori valgono quello che sono soltanto in confronto ad altri, poiché dipende dall’angolatura da cui vengono considerati, essendo veri solo fino a un certo punto rispetto alla verità illimitata, che è oltre ogni teoria speculativa.

Il sé a cui ci si aggrappa, e che è soltanto un’illusione della propria vera identità, è, comunque, il canale tramite il quale l’anima è in definitiva lo spettatore di tutti gli avvenimenti, riflessi come impressioni su uno specchio, tuttavia le immagini hanno raggiunto soltanto la sua superficie, senza causare nessuna alterazione permanente, lasciando lo specchio dell’anima immacolatamente puro.

Abnegazione non significa distogliersi dai doveri della vita né rinunciare alle fonti naturali di felicità. Abnegazione significa avere disciplina sull’ego, che si insinua furtivamente in ogni occasione possibile. Nell’abnegazione, la felicità viene apprezzata più intensamente quando ci si eleva al di sopra del concetto di volere, e mentre si prendono in considerazione i propri doveri verso la realizzazione dello scopo della propria vita. E’ in assenza del sé che una scintilla cresce fino a diventare una fiamma splendente che getta luce sul buio labirinto del falso ego, dopo di che, ogni azione diventa fonte di felicità.

Felicità significa fare il giusto uso dei mezzi che ci sono stati concessi allo scopo di realizzare i doveri che ci si aspetta da noi. Sfortunatamente, la nostra visione di giusto e sbagliato non è sempre corretta, né corrisponde sempre alla visione degli altri. Felicità significa comprendere i desideri e i bisogni del nostro corpo fisico, scoprire i numerosi misteri della mente, e cercare il disvelamento di un cuore amorevole. Poche persone realizzano che il cuore è come una cupola dentro la quale tutto, sia il bene che il male, riecheggia, creando così influenze elevanti o disturbanti che col tempo diventano le caratteristiche della propria personalità.

L’Arte della Personalità consiste nell’ingentilire i modi rudi della propria vanità, poiché la vanità è in realtà la fonte nascosta da cui sia la virtù che il peccato nascono in un modo o nell’altro, di cui prima o poi si dovrà render conto.

L’Arte della Personalità è come l’Arte della Musica, in cui l’addestramento dell’orecchio e della voce è indispensabile a determinare l’altezza di una nota e a creare gli intervalli quando si sviluppano in conformità con una struttura armoniosa. Quando si applica questo stesso ideale di armonia alle proprie relazioni con gli altri diventa evidente che la bellezza della personalità brilla in tendenze come un atteggiamento amichevole spontaneamente offerto in parole e azioni, che è il risultato del risveglio di un vero senso di giustizia, in linea con la propria coscienza. Una persona sincera si dimostra autentica con la bellezza e la sincerità della personalità, proprio come un fiore si dimostra autentico grazie al suo profumo; un gioiello si dimostra autentico con la sua radianza; un frutto si dimostra autentico con la dolcezza del suo sapore.

La bellezza, la fragranza e il colore latenti nella radice della pianta di rosa si esprimono nella fioritura della rosa piuttosto che nella forma appuntita della spina, sebbene rosa e spina siano entrambe parte della stessa pianta e provengano dalla stessa radice. In modo simile non si può scusare un comportamento negativo dicendo: “ sono nato soltanto come spina, perciò come potrei essere bello come una rosa?” Ma a differenza di una pianta di rose, a tutti noi è stato concesso il dono del libero arbitrio. E’ un segno di nobiltà di spirito comprendere tutte le cose, assimilare tutte le cose, tollerare e perdonare.

Quando Gesù Cristo disse: “ Beati i poveri nello spirito”, quel messaggio rivelava il vero segreto dell’Arte della Personalità, inteso in quel contesto come la cancellazione del proprio ego. E’ l’ego degli altri che ci disturba di più; quindi, come servizio agli altri si sceglie volontariamente di cancellare il proprio ego. Le parole “ povero nello spirito” illustrano l’ammorbidimento dell’ego, che allora può mostrare un certo fascino. Questo stesso fascino si vede anche nelle persone che hanno sperimentato sofferenza e delusione, ma la vera virtù nell’ammorbidimento dell’ego sta nell’averlo fatto di propria iniziativa sul sentiero dell’abnegazione. E’ la gratificazione dell’ego che incrementa la sua forza, e più ottiene soddisfazione, più grande è il desiderio. In questo modo si diventa schiavi del proprio ego. In realtà si dovrebbe agire come Re o Regine nel proprio regno. Altrimenti, si cade dalla sovranità alla schiavitù, diventando alla fine un peso tanto per gli altri quanto per se stessi. La grande lotta che le persone sagge combattono è una lotta con se stessi, mentre una persona egoista lotta con l’ego degli altri, e qui la vittoria può essere soltanto momentanea. La vittoria dei saggi è permanente, sebbene le prove della vita diventino assai più dure da sopportare. D’altro canto, quando si scava profondamente nei limiti del sé, forse si possono scoprire i tesori del vero sé.

L’addestramento dell’ego non richiede necessariamente una vita isolata ma è piuttosto un test di equilibrio e di saggezza. Tale addestramento implica la comprensione del motivo che sta dietro un desiderio, di quali potrebbero essere le conseguenze dell’ottenerne soddisfazione, se si può o meno permettersi il lusso di pagare il prezzo, e se si tratta di un desiderio giusto o ingiusto. Sotto l’influsso di un desiderio, il proprio senso di giustizia, di logica e di dovere è indebolito dalla stretta dell’ego, e in questa condizione mentale si giudica secondo i propri migliori interessi, si ragiona dal punto di vista dell’egoismo, e il proprio senso del dovere viene oscurato dall’onnipresente immagine di sé.

E’ senza dubbio difficile discriminare tra giusto e sbagliato, tra ciò che è naturale e ciò che non lo è, tra quello che è veramente necessario e quello che non lo è, tra quello che porta felicità e quello che lascia dolore, ma anche qui la risposta si trova nell’addestramento dell’ego, con cui si arriva a realizzare che il proprio peggior nemico tanto quanto il proprio miglior amico, sono entrambi dentro di noi. L’autocoscienza rivela infinite sfaccettature, alcune che riflettono complessi di inferiorità quali il bisogno di elogi e di ammirazione, altre che mostrano complessi di superiorità quali trovare soddisfazione nell’umiliare e nel dominare gli altri con un’inestinguibile sete di autoaffermazione. Più si cerca di dissimulare la propria debolezza dietro la maschera dell’asserzione, più la fiducia in se stessi crolla come un castello di sabbia sotto le onde del mare montante, mentre quando l’ego è sminuito, è in armonia in ogni circostanza come le bollicine che galleggiano sulle onde, anche in un mare in tempesta.

La vita si può rappresentare anche come un edificio con porte più piccole della propria statura. Ad ogni tentativo di entrare, si batte la testa contro il telaio della porta, non lasciando altro accorgimento che chinare la testa quando si attraversa la porta.

La modestia non è necessariamente debolezza, né la stessa cosa dell’umiltà basata sull’autocommiserazione. La modestia è un sentimento che nasce da un cuore vivo, che è segretamente consapevole della sua bellezza interiore mentre contemporaneamente cela se stesso anche alla sua stessa vista.

Il termine Indù per religione, dharma, che significa dovere, lo si potrebbe intendere anche come consapevolezza dei propri obblighi più nobili. Quando ci si sintonizza al profondo significato di questa interpretazione della religione, si comprende che essere religioso significa portare a termine i doveri che ci sono stati affidati dal destino come scopo della nostra vita. Quindi, è un nostro dovere altamente religioso praticare l’Arte della Personalità, così da poter un giorno diventare un esempio vivente di quell’ideale, mentre danziamo la sacra danza alla corte di Indra, il tempio della Presenza Divina che si trova dentro il nostro cuore.