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"Sul Risveglio Interiore" di Hidayat Inayat Khan

SPIRITUALITA'

Gli ideali spirituali non possono essere proprietà di una tradizione particolare a causa della loro natura universale. La spiritualità è un appello a favore dei diritti umani di pensiero e sentimento sul sentiero spirituale. Questo richiamo ha risuonato sin dall’eternità, ma non sempre è stato compreso, il che spiega perché varie terminologie in genere fraintendono il vero significato di questo appello. Inoltre, ciò che causa ancora più confusione riguardo alla spiritualità è che c’è un infinito numero di mistici, occultisti, spiritualisti, indovini e parapsicologi auto-proclamati, la cui missione sembra accontentare le persone che corron dietro ai miracoli.

Hazrat Inayat Khan ci ha fatto comprendere che in realtà ogni persona è spirituale perché la vita stessa è spirito e lo spirito è forza vitale, che motiva l’abito materializzato del sé. Lungo il sentiero della vita, c’è la tendenza a distanziarsi dalla spiritualità innata, identificandosi con la propria limitata condizione mentale e fisica, senza comprendere che l’onnipervasiva immanenza della vita è quell’indescrivibile forza che si manifesta costantemente dietro ogni impulso.

La spiritualità non può né essere insegnata né essere imparata; può soltanto essere scoperta attraverso il cuore, ma non mediante la parola, che è limitata alla comprensione individuale di ciascuno di noi; quindi in realtà spiritualità significa rinascita, nel senso che si incomincia a scoprire che essa è sempre stata un nostro diritto di nascita. La spiritualità non può essere definita a parole, in dottrine, teorie o enunciazioni filosofiche, ma può essere meglio descritta come il profumo della vera conoscenza, sebbene in tutte le epoche sia stata illustrata in molte favole folcloristiche, che ci hanno dato l’impressione che la spiritualità sia connessa a strani poteri e miracoli.

Inoltre, la spiritualità non può essere vincolata come proprietà di una setta o di un culto particolari, o come spettante a un qualche credo religioso. Quando sfogliamo le pagine delle illustrazioni letterarie, invariabilmente scopriamo un comun denominatore in tutti questi racconti, che descrivono la spiritualità in termini quali “ amore, amante, e amato”. Se si potesse confinare la spiritualità dentro un insegnamento, potrebbe essere compresa come una sfida ad esprimere “l’amore, umano e divino” in ogni circostanza, sia essa materiale, sociale, religiosa o umana.

Il mistico si sforza costantemente di offrire un esempio, così che gli altri possano essere ispirati a scoprire che l’amore in realtà significa elevarsi nell’amore e non cadere nell’amore; mentre la devozione significa il crollo del falso concetto di sé, seguito dalla crescita della consapevolezza del vero sé. Purtroppo, si suppone sempre che la spiritualità sia qualcosa che si può ottenere, e non sappiamo come. A volte siamo intrigati da una persona che viene considerata spirituale per l’apparenza o per qualche altra ragione, ma la spiritualità per lo più rimane soltanto un sogno.

La luce del sole ardente non si può limitare ad un raggio soltanto. Essa risplende in un numero infinito di raggi. Nello stesso modo, la luce della coscienza interiore non è riservata soltanto alle cosiddette persone spirituali; risplende anche nel cuore di tutti, buoni e cattivi, ma a un grado diverso di intensità, che dipende dalla trasparenza dell’ego. Ma ancora, se non ci si può sbarazzare dell’ego, perché non addestrarlo adeguatamente così da poterlo usare per scopi benefici? Se non avessimo un ego non saremmo in grado di realizzare niente né di buono né di cattivo. L’ego è come un motore con un’energia tremendamente potente che può essere usato soltanto se è tenuto sotto controllo, sia per le esperienze materiali che per quelle spirituali. La locomotiva più potente è inefficace se non ci sono rotaie su cui muoversi, e che utilità hanno le rotaie senza una locomotiva che si muova su di esse?

C’è una famosa opera teatrale che pone la domanda: “ Essere o non essere?” e in effetti, tutti noi sappiamo che impegnarci in questa difficile vita richiede sia essere che non essere. Quindi tendiamo a supporre che questo metodo sia applicabile anche per conseguire la spiritualità, ma la spiritualità non ha alcun significato, a meno che non si scopra che essere spirituale significa esattamente il contrario di voler essere qualcosa, o pretendere di essere qualcosa. Prima di fare il primo umile passo sul sentiero della spiritualità, il proposito è realizzare che spiritualità significa abbandonare il desiderio di essere qualcosa e in tal modo inconsapevolmente identificare il proprio sé con la presenza divina.

Tutti noi abbiamo sentito parlare del paradiso, e immaginiamo che diventare spirituali significa diventare sempre più elevati , ma abbiamo mai smesso di scoprire che tutto quello che possiamo aver voluto ottenere da lassù, è già proprio qui nel nostro cuore? Esistono numerosi metodi. Esistono moltissimi tipi di Yoga, esistono molte religioni, esistono migliaia di scuole spirituali, ma finché non cerchiamo di tenere l’ego sotto controllo, stiamo perdendo il nostro tempo, e stiamo soltanto affrontando una disillusione, e la disillusione nella spiritualità è molto peggiore della disillusione nelle cose terrene.

La Verità è Verità soltanto quando non si sta fingendo a se stessi o agli altri sulla propria supposta saggezza. La Verità può soltanto essere Verità se è espressa come un esempio silenzioso di risveglio alla soluzione dell’eterno enigma: chi, che cosa, perché, quale, quando, da dove, verso dove.

Mentre si procede attraverso le tenebre dell’ignoranza umana, mostrando con fermezza la torcia della libertà spirituale, forse è possibile scoprire che la Verità si può interpretare come un invito a diventare esempi viventi d’amore, armonia e bellezza, e, come altari viventi di tutte le fedi religiose, a comunicare ad ognuno nel suo linguaggio mentre ci teniamo stretti all’unico segreto che c’è nella spiritualità, la pace e la felicità interiori.

FELICITA'

La felicità è un privilegio. Essa è anche un nostro diritto di nascita. Quindi è certamente un nostro dovere essere felici, ma questo è soltanto possibile quando offriamo felicità agli altri senza aspettarci nulla in cambio. C’è differenza tra essere felice come risultato di una particolare armonizzazione, e una felicità incondizionata, in cui la nostra consapevolezza viene innalzata a un livello più alto del mero concetto di “io sono”. Questa chiave d’oro della felicità implica l’assoluta assenza di autoaffermazione e di pretese personali.

Quando si vuole felicità per sè stessi, ci si trova ad affrontare un certo numero di condizioni da soddisfare, ad esempio l’essere sinceramente grati di tutto ciò che ci è stato concesso, e avere compassione per coloro che non sono stati privilegiati quanto noi. Il risveglio alla sicurezza interiore è il sentiero più sicuro che conduce alla vera felicità, ma ancora, la felicità non si può ottenere a costo della sofferenza altrui.

Quando invidiamo gli altri, dovremmo ricordare che, sebbene si possa avere meno felicità di quelli che invidiamo, molto probabilmente prima o poi si sarebbe dovuto pagare un prezzo ancora più alto di quello che ci si sarebbe mai aspettati per la stessa felicità. Ed è essenziale anche vincere una irragionevole gelosia, che è paragonabile ad una serratura che chiude le porte del cuore così che la felicità diventa inaccessibile.

Tra le molte ragioni per non essere felici, la principale è la mancanza del senso di apprezzamento. Ci sono ovviamente molte altre ragioni per essere infelici. La scontentezza come effetto del proprio atteggiamento pessimista causa ostruzioni che si possono superare con la saggezza, la forza di volontà, la perseveranza e la comprensione profonda dei propri giudizi sbagliati, piuttosto che colpevolizzare gli altri per la propria infelicità. Uno dei numerosi metodi per vincere la scontentezza consiste nel focalizzare i propri pensieri su qualcos’altro invece che sul proprio sé, e nel chiedersi che cosa si può fare per gli altri.

Il primo passo nello sviluppo dell’arte della personalità è rispettare gli altri, se ci si aspetta di essere rispettati. Un comportamento adeguato richiede anche apertura all’intima consapevolezza del cuore.

Tra i molti doni della felicità c’è anche una cosa come la benevolenza del Destino, ma per un’inesplicabile ragione questo favore, che è riversato benevolmente su un prescelto, ha anch’esso un suo prezzo da pagare, in termini di responsabilità, che si incontrano per lo più in modo inaspettato sul sentiero.
E’ ovvio che nel regno dell’automatismo impersonale del nostro tempo, le nozioni basilari di comportamento, autodisciplina, concentrazione, comunicazione e il sintonizzarsi alla sacralità, tendono tutte ad essere trascurate. Perciò è assai importante che tutti coloro che credono nei grandi ideali realizzino la necessità di sviluppare l’ Arte della personalità ad ogni livello dell’ educazione, della religione e della cultura. Il rispetto di sé è certamente la chiave di tutte le nozioni basilari di comportamento.

In questa epoca elettronica, in cui il potere del pensiero e del sentimento può essere prima lanciato su un dispositivo di invio e poi catturato all’altra estremità da un ricevitore automatico, molto lontana dalla nozione basilare di comunicazione tramite la parola detta, è ovvio che la mancanza della finezza del contatto personale e l’assenza del linguaggio del cuore può portare a incomprensioni nei rapporti con gli altri.

L’accordatura del cuore potrebbe essere paragonata all’accordatura degli strumenti a corda in cui le corde vengono tese fino alla tonalità scelta. Tuttavia, l’accordatura del cuore umano è incomparabilmente più delicata perchè la tonalità a cui lo si deve accordare è una tonalità interiore, che viene udita soltanto quando le porte del cuore sono aperte e la misteriosa assenza del sé miracolosamente rivela la silenziosa tonalità interiore.
Hidayat Inayat Khan
Febbraio 2012